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8° Premio “La valigia di cartone” a Castel del Monte

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L’AQUILA – Lasciando a Barisciano la statale che solca l’altipiano per prendere la strada che s’inerpica verso Castel del Monte, già dopo i primi tornanti il paesaggio ti intriga. E’ una meraviglia questo angolo d’Abruzzo alle pendici della catena del Gran Sasso, nel Parco nazionale omonimo, uno dei quattro della regione più verde d’Europa, con oltre un terzo del suo territorio protetto. Ogni curva rivela uno scenario d’incanto: colli, boschi, vette ardite, borghi suggestivi come presepi. Ed ecco si attraversa Santo Stefano di Sessanio, antico borgo medioevale diventato caso d’accademia nel mondo – ne ha parlato anche il New York Times – perché un “visionario” architetto italo-svedese, Daniele Kihlgren, ne ha fatto un albergo diffuso, ripetendo poi l’esperienza anche nei Sassi di Matera, e in altri villaggi semiabbandonati dell’Abruzzo. Ora Santo Stefano di Sessanio, 120 abitanti, è uno dei Borghi più belli d’Italia, sta rinascendo dai danni inferti dal terremoto del 2009 ed è meta di turisti dall’Italia e dall’estero. Nel Cinquecento il fu acquistato dai Medici di Firenze per controllare la produzione della lana che da queste parti abbondava, grazie agli armenti che potevano contare d’estate sugli sterminati pascoli del Gran Sasso e d’inverno in transumanza nel Tavoliere della Puglia. La Torre medicea, simbolo del borgo, presto sarà ricostruita dopo le ferite del sisma.

Mentre si lascia il borgo, la strada per un po’ scorre quasi lineare verso Calascio. Eccolo il paese, con le sue case addossate alla montagna e le sue chiese ricche di opere d’arte. E sulla vetta del colle la splendida Rocca che domina dall’alto la vista sulla rigogliosa valle del Tirino. La Rocca di Calascio, famosa per essere stato scenario per diversi film, è considerata da National Geographic uno dei 15 castelli più belli del mondo per la sua meravigliosa singolarità e per l’incanto del contesto ambientale. Calascio, 135 abitanti a 1200 metri d’altitudine, è inserita nel club dei Borghi autentici d’Italia. Lasciato il paese, la strada torna ad essere tortuosa, scendendo in una piccola conca indorata dalle biade e dal grano appena mietuto. Poi risale verso Castel del Monte, che a qualche chilometro si offre di fronte, nell’esposizione delle sue suggestive architetture. E’ classificato, come Santo Stefano di Sessanio, tra i Borghi più belli d’Italia, club rigoroso che annovera 271 borghi del Belpaese, certificandone le singolari bellezze, nel quale l’Abruzzo ne conta ben 23.

Esposto sulle pendici del monte Bolza, a 1346 metri d’altitudine, Castel del Monte è l’avamposto abitato più elevato nei contrafforti del Gran Sasso d’Italia. Da qui la strada ascende verso il grande altopiano di Campo Imperatore, incontrando subito Monte Camicia, la vetta meridionale della catena, poi Monte Prena e il Brancastello, prima d’arrivare ai piedi del Corno Grande (2.912), la cima più alta degli Appennini. Le vestigia più antiche di Castel del Monte attestano un primitivo insediamento del popolo italico dei Vestini, sul Colle della Battaglia a sud dell’abitato, dove risultano ancora ben visibili le tracce di tre fossati circolari concentrici e di altrettante cerchia di mura a protezione del villaggio, del quale sono stati rinvenuti resti d’una grande porta d’accesso ed una piccola pusterla. Rinvenuta, nei pressi, anche un’importante necropoli italica.

L’attuale borgo di Castel del Monte conserva l’originario disegno altomedioevale, con architetture degne d’interesse. Bella la Chiesa Madre dedicata a San Marco Evangelista. Il primo nucleo risale al XI-XII secolo, ma un significativo ampliamento si ebbe a fine Duecento, per volere di Corrado d’Acquaviva, che possedeva la “Terra di Castel del Monte”. L’ampio assetto attuale a tre navate con cupola ottagonale risale al Quattrocento. Particolarmente ricco l’interno, con altari in pietra, in stile rinascimentale e barocco, bassorilievi e una fonte battesimale del Cinquecento, con inciso lo stemma dei Medici che per quasi due secoli ebbero in proprietà il borgo. Notevole il pulpito ligneo, cesellato e decorato ad oro zecchino. A lato della chiesa s’erge l’imponente campanile quadrato, con duplice funzione di torre campanaria e torre d’avvistamento. Interessanti anche la quattrocentesca Chiesa di S. Maria del Suffragio, che ha una magnifica pala d’altare attribuita al fiorentino Bernardino di Lorenzo, donata nel 1585 dal principe Francesco Antonio de Medici, e la settecentesca Chiesa di Santa Caterina d’Alessandria.

Nell’alto medioevo Castel del Monte, come gli altri territori circostanti, fu soggetto ai monaci Volturnensi, che facevano capo alla grande abbazia benedettina di S. Pietro ad Oratorium, nella piana di Capestrano. Passò poi ai conti di Celano, agli Acquaviva di Atri, ai Piccolomini di Siena, per un brevissimo periodo ad Alessandro Sforza, ad Ottavio Cattaneo dal 1569 ed infine, nel 1579, ai Medici di Firenze. Castel del Monte compare per la prima volta nel 1223 in una bolla pontificia di papa Onorio III, con il nome di Castellum de Monte. Fece quindi parte del marchesato di Capestrano (principato dal 1584), seguendo le vicende, sotto lo stesso signore, della baronia di Carapelle, che comprendeva oltre a Carapelle Calvisio anche Castelvecchio Calvisio, Calascio e S. Stefano di Sessanio. Questi borghi costituivano lo “Stato di Capestrano”, dove aveva sede il governatore, nel castello Piccolomini.

Castel del Monte, ora 434 abitanti, fino alla prima metà del Novecento era un paese molto più popolato (nel 1921 contava 3.188 abitanti). La sua economia fondava sulla pastorizia, che vantava fino a 50 mila capi di pecore, e sulla produzione della lana. Da qui, in settembre, scendevano le greggi verso il Tratturo magno che dall’Aquila portava milioni di pecore a svernare nella Capitanata di Foggia. Per i pastori in transumanza una storia plurisecolare di fatiche, di ataviche tradizioni, di commistioni culturali. Per i grandi armentari e proprietari del latifondo montano una storia di ricchezze, prosperate con i prodotti dell’allevamento e con i commerci della lana. Una storia di sacrifici e floridezze, che tuttavia avrebbe avuto fine nel secondo dopoguerra, con la crisi della produzione della lana causata dall’arrivo sul mercato di lane più competitive e delle fibre sintetiche. La transumanza prese dunque altre strade, questa volta non i tratturi ma quelle dell’emigrazione. E come tutti i paesi dell’entroterra abruzzese anche Castel del Monte alimentò il fiume migratorio verso il nord e sud America, verso l’Australia e nella vecchia Europa. Anzitutto la Francia e il Belgio. Proprio in Belgio, nella più tremenda tragedia mineraria che l’8 agosto 1956 a Marcinelle fece 262 vittime – 136 erano italiani e tra essi ben 60 abruzzesi – pure Castel del Monte diede il suo tributo di dolore, con due morti nel rogo di Bois du Cazier.

Attualmente a Castel del Monte la storia della Pastorizia e della Transumanza è raccontata dal Museo omonimo, come pure dal Museo dell’Arte della Lana, mentre tre altri piccoli musei raccontano la cultura materiale e contadina. Ma soprattutto la pastorizia abruzzese è oggi rappresentata dall’annuale Rassegna degli ovini a Fonte Macina di Campo Imperatore, promossa dalla Municipalità. La storia dell’Emigrazione, invece, ha trovato un’antesignana in Lina Petricola, emigrata in Francia, che dieci anni fa, tornata al paese natale organizzò, con la collaborazione del Comune, la prima Festa dell’Emigrante. Nel 2012 la manifestazione si arricchì con il Premio “La valigia di cartone”, organizzato dal Comune, grazie al forte impulso del sindaco Luciano Mucciante e dell’assessore Caterina Bernardoni. Da allora ogni anno si tributa il riconoscimento a personalità che all’estero onorano la terra d’origine o che in patria dedicano particolare attenzione all’emigrazione italiana e alla sua storia. Straordinario ed infaticabile coordinatore del Premio è Geremia Mancini, già sindacalista di rango nazionale, ma soprattutto appassionato studioso dell’emigrazione abruzzese, ricercatore attento delle storie che ne costituiscono l’epopea, ora raccolte insieme ad altre nella trilogia “Abruzzo, Stars&Stripes”, di cui sono usciti i primi due volumi – autori Generoso D’Agnese, Dom Serafini, Geremia Mancini – per i tipi di Ricerche & Redazioni.

Il Premio, quest’anno, è alla sua ottava edizione. Chi scrive è venuto per assistervi. L’evento, come di consueto, si tiene nel teatro “F. Giuliani”. Nel corso degli anni ha insignito personaggi di caratura nazionale ed internazionale. La cerimonia ha inizio appena dopo le 11, con l’intervento di saluto dell’assessore Caterina Bernardoni, cui è seguita la relazione introduttiva del coordinatore Geremia Mancini, che del Premio ha riassunto le più significative presenze nel corso delle edizioni precedenti, prima d’illustrare, con la collaborazione di Generoso D’Agnese, giornalista e saggista del fenomeno migratorio, le biografie degli insigniti. Dapprima però la consegna di tre riconoscimenti speciali: a Lina Petricola per aver dato impulso alla Festa dell’Emigrante, e al prof. Vittorio Mastrangelo, scienziato e docente all’Università di Parigi, entrambi nativi di Castel del Monte; infine al parroco Josep Mazola Aynepa, d’origine congolese. E’ quindi iniziata la consegna delle Targhe del Premio “La valigia di cartone”, conferito per il 2019 a Maurizio Mariano (Sud Africa), Paolo Di Francesco (Messico), Berenice Rossi (Argentina), Anthony Molino (Stati Uniti), Pierluigi Spiezia e Stefano Monticelli, che non ha potuto essere presente. Quelle che seguono, in estrema sintesi, sono le biografie degli insigniti che, con parole e testimonianze molto toccanti, hanno ciascuno ripercorso la propria storia d’emigrazione.

 A cura di Goffredo Palmerini

8° Premio “La valigia di cartone” a Castel del Monte ultima modifica: 2019-08-14T09:16:41+00:00 da Redazione
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