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Zampognari mito dell’Abruzzo pastorale, la recensione del libro

di Redazione

La nota di Francesca Rapini su volume di Antonio Bini (Edizioni Menabò) che ricostruisce il fascino ancestrale degli zampognari
e aiuta a riscoprire le loro tracce

copertina zampognariREGIONE – Il Natale aveva musiche tutte sue, giunte spesso fino a noi ed ogni popolo ha le sue tradizioni. In Italia i canti erano accompagnati dallo strumento classico dei pastori, la zampogna, “Tibia utricularis”, nota per la sua forma e per i suoi originalissimi suoni, da cui sprigionava una primitiva e straordinaria potenza espressiva che affascinava bambini e adulti, di qualsiasi età. Nella foto allegata, si può notare lo storico dell’arte Philippe Daverio incuriosito e divertito, intento a fotografare gli zampognari incontrati a Guardiagrele nel 2012. La forma dello strumento, la sua costruzione e la stessa maniera di suonarla cambiano a seconda delle aree geografiche e nelle differenti epoche.

La zampogna era particolarmente diffusa nel centro-sud Italia fino ad un secolo fa anche in Abruzzo ma le guerre, il terremoto del 1915, il crollo dell’economia pastorale e l’emigrazione, ne avevano provocato la pressoché totale scomparsa. Un fenomeno musicale e culturale particolarmente trascurato, se non addirittura rimosso, in quanto legato alla civiltà pastorale, ritenuta eredità spesso insopportabile rispetto ai percorsi di modernità e di omologazione culturale e sociale in atto. Eppure la storia degli zampognari ha lasciato tracce rilevanti.

Il saggio di Antonio Bini “Zampognari mito dell’Abruzzo pastorale”, edito da D’Abruzzo-Menabò, uscito in questi giorni, ricostruisce la memoria perduta degli zampognari abruzzesi attraverso una straordinaria serie di riferimenti letterari musicali e artistici italiani e stranieri che permettono di avventurarsi piacevolmente nella storia di questi singolari pastori-musicisti, anche grazie ad un accurato e documentato corredo di immagini (oltre un centinaio) che arricchiscono il libro.

Le tracce più vaste, infatti, sono state recuperate dall’autore soprattutto tra le fonti straniere, i racconti di viaggiatori del Grand Tour e dalle numerose incisioni e opere di artisti stregati da quei suoni ancestrali e dai rozzi costumi degli zampognari. Roma, allora terminale del Grand Tour in Italia, costituiva lo scenario dove inevitabilmente era possibile imbattersi negli zampognari sin dalla fine di novembre, con l’inizio della novena di Natale. Altri viaggiatori li incontrarono a Napoli, altri ancora testimoniarono la loro presenza in varie località della regione, mentre altri ancora incontrarono i pastori transumanti dall’Abruzzo nel Tavoliere in Puglia. La zampogna era infatti la malinconica compagna della solitudine dei pastori.

Il tema degli zampognari è presente anche nella decorazione di diverse antiche chiese, tra cui la cattedrale di Atri (affreschi di Andrea De Litio), Santa Maria Assunta di Assergi, San Panfilo a Tornimparte, di San Silvestro a L’Aquila, ecc. In quest’ultima chiesa, solo recentemente, in sede di restauro post-sisma, dalla rimozione di intonaci sono riemersi affreschi, probabilmente duecenteschi, tra cui una natività con un pastore, circondato dalle sue pecore, intento a suonare la zampogna. Sembra quasi la metafora della riscoperta della zampogna.

Antonio Bini mette in evidenza soprattutto le tracce più diffuse e presenti anche nella società di oggi che rivivono in tante composizioni di musicisti che nel corso dei secoli trassero da loro ispirazione. Il musicologo tedesco Hans Geller, che studiò l’influenza che gli zampognari abruzzesi esercitarono sui compositori stranieri, giunse addirittura a sostenere che gran parte delle pastorali dei più celebri autori presero ispirazione da loro (1954).

Tra questi, in particolare, nel libro si ricordano soprattutto Hector Berlioz, che compose “Sérénade d’un montagnard des Abruzzes à sa maîtresse” e Georg Friedrich Händel, che dedico la XIII parte del celebre oratorio Messiah all’arcadica “Pifa”, abbreviazione di pifera o pifferaio. Una recente operazione di restituzione alle sonorità originarie delle zampogne e delle ciaramelle è stata curata dal maestro Antonello Di Matteo, già direttore artistico dell’Associazione Zampogne D’Abruzzo e attualmente componente della Philarmonic Orchestra di Philadelphia e docente della Drexell University. Le due esecuzioni, a cura di un quartetto di giovani talentuosi musicisti dell’Associazione Zampogne d’Abruzzo, possono essere ascoltate consultando il libro attraverso il QRcode. Attinse dalle antiche novene dei pastori anche S. Alfonso Maria de Liguori, che su quelle melodie adattò il suo celebre “Tu scendi dalle stelle”.

Il saggio rilancia il ruolo che ebbe il compositore Vittorio Pepe, amico e coetaneo di Gabriele d’Annunzio, pure appassionato dell’antico strumento, nel recuperare le tradizioni musicali degli zampognari, precedendo la fertile opera di Padre Settimio Zimarino, autore di tante pastorali e musiche sacre popolari, ancor oggi riproposte da corali, orchestre e zampognari. Il recente riconoscimento della Transumanza come patrimonio immateriale dell’umanità da parte dell’Unesco non può non ricomprendere anche la zampogna che fu la colonna sonora della civiltà pastorale.

La presente edizione costituisce un rilevante aggiornamento di una precedente pubblicazione, uscita nel 2013 con il titolo “Li chiamavano pifferari”, riprendendo la denominazione con cui i viaggiatori stranieri etichettavano gli zampognari. Termine più raro in Italia. Da qui l’esigenza di un titolo che favorisse una più immediata percezione dell’argomento. Un libro da leggere ed ascoltare.

Zampognari mito dell’Abruzzo pastorale, la recensione del libro ultima modifica: 2020-11-15T10:50:06+00:00 da Redazione