Arte

Gino Berardi dall’espressionismo all’astrattismo: l’intervista

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Ricerca accademica a cura di Siria Vennitti

MONTESILVANO – Gino Berardi, nato a Pietranico in provincia di Pescara nel 1945. Avvia la sua esperienza artistica nella metà degli anni ‘60, utilizzando indifferentemente matite, pastelli, olio, acrilici e tecniche miste, con cui relizza opere di forte impatto visivo e di alta suggestione cromatica. Insegnante di ruolo nella scuola media superiore, giornalista pubblicista, ha ideato e condotto programmi televisivi, fondato il centro culturale “SpazioeArte”, e ha ricevuto le nomine a Cavaliere, Cavaliere Ufficiale e Commendatore della Repubblica Italiana.

Come e quando è nata la tua passione per l’arte?

Devo dire che provengo da una piccola frazione di un piccolo paese Abruzzese di nome Pietranico, dove allora non avevamo né corrente elettrica, né acqua in casa. Sono nato nel 1945, e ho frequentato la scuola elementare nella mia frazione, nel borgo, infatti si andava a scuola presso una casa privata, quindi per entrare in aula si doveva attraversare prima la cucina di questa famiglia di contadini che facevano colazione quando noi passavamo di lì per andare a studiare.

La passione per il disegno e la pittura è nata proprio tra i banchi di queste elementari, ricordo che ero sempre impegnato a fare disegnini nelle ore scolastiche, allora c’era il pennino che si bagnava nell’inchiostro, e mi piaceva ricreare queste situazioni campestre come l’asinello, la donna con la conca, il mucchio di fieno, i papaveri…le cose che vedevo quotidianamente per intenderci, non vedevo oltre non conoscendo più di ciò che accadeva, non c’erano telefoni , radio, televisioni, giornali. Era tutta passione.

Dicevo, un giorno il mio maestro di terza elementare, che ricordo con molto piacere nonostante a volte mi rimproverasse per il mio continuo distrarmi, mi fece una bella sorpresa: arrivò con una scatoletta di gessetti colorati, che io non avevo mai visto. Quando si assentava mi diceva “Gino, prendi i gessetti, vai alla lavagna e intrattieni la classe con i tuoi disegni” diciamo come un capo classe, e io ne andavo fiero.

Quali studi hai frequentato?

Cominciai le scuole medie a San Pio delle Camere in provincia dell’Aquila, fuori dalla mia amata campagna. Lì ho cominciato a conoscere qualcosa in più. C’era più civiltà rispetto alla mia frazione. Mi sono appassionato allo sport, al giornalismo, studiavo tanta cultura e così ho completato tutti i miei studi in provincia dell’Aquila finché non sono poi partito per fare esperienza all’estero.

Nei 10 anni trascorsi all’estero, da quali personalità ti sei sentito ispirato?

Conclusi i miei studi ho iniziato a lavorare in Svizzera per mantenermi, avendo la fortuna di lavorare in alberghi di lusso dove potevo incontrare figure importanti. Nelle ore pomeridiane cercavo di individuare qualche galleria, un’ esposizione. Un giorno mi sono imbattuto in un’inaugurazione a Zurigo dove ho incontrato Max Ernst che aveva il suo studio lì. Mi misi in un angolo e sentivo tutto ciò che dicevano, capivo la lingua tedesca ma non mi intromessi nei discorsi. Con il passare delle ore capii che dovevo dire qualcosa e da lì riuscii a parlare e conoscere Max, era il 1966 e questa è stata la conoscenza che più mi ispirò. Ho incontrato tante personalità importanti anche del mondo della musica, spettacolo, politica e arte come Louis Armstrong, Josèphine Baker con la quale ho potuto scattare anche delle foto dove mi diede un premio per un concorso di pittura il quale partecipai, Mario Schifano, Remo Brindisi, Franz Borghese, Bernard Toppi, Michele Cascella e molti altri.

Quale stile pittorico ha aperto il tuo viaggio all’interno del mondo dell’arte? Qual è stata la sua evoluzione?

Un giorno una signora venne da me con una grande foto del marito il quale morì in mare durante un’uscita in barca, faceva il pescatore. Voleva un ritratto di suo marito in barca, gli e lo feci ma fu un lavoro, non mi divertivo. Quando dipingo mi diverto sempre.

Allora capii che l’arte figurativa non era nelle mie corde e che la mia attrazione per gli impressionisti era più forte, contemporaneamente però ero anche attratto dai macchiaioli.

Cominciai a dipingere su queste note ma sempre con un tocco Abruzzese, inserendo nei miei quadri dei simboli d’Abruzzo come la pianta di ginestra, il pesco, il pero o il melo perché mi ricordavano la mia infanzia, vedevo queste piante tutti i giorni e ne ero innamorato.

Creavo un’ impressionismo “a modo mio”, una pennellata impressionista, a tratti a macchia. Quando viaggiavo all’estero avevo due valigie, una piccola di cartone appartenente a mio nonno dove mettevo i pennelli, e una grande di finto pelle che mia madre mi comprò al mercato di Torre De’ Passeri, ricordo che la pagò 10 mila lire. All’epoca non c’erano molti soldi e non potevo permettermi le tele così andavo dai falegnami e chiedevo di prendere i materiali di scarto, prendevo dei piccoli pezzi di compensato, li tagliavo con il taglierino per dargli un fondo e ci dipingevo sopra.

Con gli anni non mi sono allontanato totalmente dal mio impressionismo ma l’ho evoluto, mi sono evoluto in un percorso stilistico all’interno dei canoni dell’arte astratta ed informali con la quale sono in contatto da più di vent’anni.

I colori nelle tue opere esprimono anche stati d’animo?

Si, a volte anche inconsciamente.

Quindi il colore è uno dei tuoi punti di forza. Ci sono colori che suscitano maggiori emozioni in te?

Amo alcuni colori che adopero più degli altri. Il blu, il bianco, il rosso e devo dire anche il giallo. Naturalmente mischio anche questi colori che ne generano altri. Amo anche un altro colore che uso poco specialmente nei quadri impressionisti, il glicine sfumato con il bianco

Quali messaggi è possibile leggere all’interno delle tue opere?

Non voglio essere così presuntuoso da pretendere che con le mie opere io riesca a lanciare un messaggio. Può darsi. Vedo che quando passano di qui i visitatori si innamorano di un quadro e stanno lì ore e ore a guardarlo, a studiarlo e io mi chiedo sempre “Davvero riesco a suscitare così tante emozioni attraverso un mio dipinto?” . Mi è capitato che tante persone dopo aver preso delle opere mi dicessero “Gino quando entro nella stanza dove ho esposto la tua opera devo osservala per un lungo tempo perché ogni volta che lo osservo ci trovo qualcosa di nuovo”

Con Berardi seconda maniera riconosco di essere un astratto informale, sempre presente il simbolismo, ed è chiaro che ci si possano vedere più messaggi, anche a distanza di tempo. A volte non tutti si accorgono subito di tutti i simboli all’interno delle mie opere e forse è per questo che non parto con la presunzione di dire “è questo il mio messaggio”.

Io desidero accontentare me stesso, se riesco anche a piacere anche agli altri è un valore aggiuntivo.

Che significato hanno alcune figure ricorrenti all’interno delle tue opere?

Nei miei quadri di astrattismo informale c’è sempre qualche simbolo, più di uno: strumenti musicali, bicchieri, bottiglie, visi di donna, le scale, una coppetta e il gallo. C’è sempre un motivo per cui inserisco questi simboli. La chitarra, il mandolino, le chiavi musicali sono collegate al famoso gallo.

La storia che mi piacerebbe infatti raccontarti è proprio quella del gallo, realizzato a macchia, non in maniera figurativa, come ti dicevo non mi appartiene.

Si racconta che a Rochester, in America, avvenivano dei combattimenti tra galli. Un giorno, il padrone di uno di questi galli da combattimento, invitò gli amici a tifare per il suo gallo perché si facevano anche molte scommesse. Disse allora agli amici che, se il suo gallo avesse vinto, lui avrebbe offerto un drink a tutti nella sua fattoria. Da premettere che questo signore era conosciuto in città in quanto fosse un cultore del bere e possedesse nella sua fattoria una taverna dove produceva liquori a base di erbe bacche ecc.. Chi poteva avere l’onore di assaggiare le sue produzioni era molto fortunato, per questo gli amici non rifiutarono e andarono a tifare per il suo gallo che poi vinse la partita.

Dovette mantenere dunque la promessa di offrire un drink a tutti i suoi amici e, tornati nella fattoria, apri la taverna al pubblico ma le persone non smettevano di arrivare perché si accodarono anche non invitati.

Questo signore non aveva per tutti la stessa bevanda da offrire ed era preoccupato perché non si usava all’ora, nel 1800, unire più ingredienti nello stesso bicchiere e non si usava nemmeno raffreddare la bevanda. Un amico però gli propose di unire le bottiglie rimaste dentro un unico recipiente per riuscire a dare da bere a tutte quelle persone. Nonostante il signore non era sicuro non ebbe scelta e dovette seguire il consiglio dell’amico. Unite le rimanenze non bastava ancora da bere per tutti. Fuori era inverno e c’era la neve così presero ghiaccio e neve, mischiarono insieme qualche arancia, pompelmo, limoni, mandrini e riuscirono a dar da bere finalmente a tutti gli ospiti.

Tutti erano soddisfatti di questa bevanda colorata, saporita, fresca che non aveva però un nome.

Cercarono allora un nome per questo drink, alcuni suggerivano il nome di una donna, di un paese, finché un signore, intento a guardare il gallo spiumato ma vincente disse: “In onore di questo gallo siamo qui riuniti per cui il drink si chiamerà code di gallo” .

Così nasce il nome cocktail . Non tutti conoscono questa storia, alcuni dicono sia solo una leggenda, io personalmente ci vedo tanta verità che ha ispirato tutta la serie dei miei dipinti serie cocktail.

I simboli che sono presenti insieme al gallo rappresentano l’atmosfera che si crea quando si beve un cocktail in occasioni importanti.

La scena artistica nel corso degli anni è cambiata. Cosa significa essere artisti oggi?

La parola artista è sfruttata. Io parto dal principio che non si finisce mai di imparare, studiare, lavorare. Il dipingere è un modo per esporre le proprie emozioni, i propri bisogni, essendo una passione.

Durante la fase di un opera può nascere un quadro più interessante di un altro, ma non funziona sempre cosi perché l’occhio del visitatore può innamorarsi di un quadro che io artista ritengo meno bello e invece lui se ne innamora.

Senza fare nomi, un critico che teneva una sua rubrica su un quotidiano importante, venne da me e per scrivere un pezzo e io, per ringraziarlo, gli dissi di passare in studio per regalargli un opera. Dopo aver girato per tanto tempo per scegliere l opera che gli piaceva di più, gli cadde l’ occhio su alcune tele incomplete di cui non ero soddisfatto e che avevo nascosto dietro un mobile. Lui si innamorò di una di quelle . Fui costretto a firmagli la tela che diventò per lui un opera e andò via contentissimo.

Una frase ricorrente che spesso sento è “dipingo quando mi viene l’estro”. Certo può capitare che ti svegli durante la notte con una bella idea ma non è la norma.

Queste persone a mio avviso non sono sincere.

De Chirico diceva “Io dipingo sempre” , alle 8 e mezza puoi metterti sul cavalletto, a mezzogiorno vai a fare aperitivo, mangi, riposi, alle 16 ti rimetti sul cavalletto, alle 20 mangi, dormi, questo tutti i giorni. Quando un quadro esce meglio di un altro è perché durante la sua lavorazione magari è venuto fuori un estro più particolare, soggettivamente.

Amo l’umiltà, ma di questi personaggi oggi ce ne sono tanti.

A quale artista ti senti maggiormente vicino?

Devo ammettere che stimo e apprezzo tutti, specialmente chi ha fatto dell’arte un mestiere.

Un genere di pittura può essere che non mi interessa più tanto ma la stima che provo nei confronti di un’artista che ha valore è tanta.

Posso dire che ancora oggi sono affascinato dagli impressionisti francesi Monet, Renoir, Degas e tutti gli artisti che hanno fatto la storia dell’arte e della pittura.

Alcuni vedendo le mie opere di astrattismo informale mi chiedono se mi ispiro a Pollock ma io non adopero la sua tecnica, non metto la tela per terra né mi adopero con l’action painting, la mia tecnica richiede sempre pennello o spatola a volte gettando anche il colore sulla tela ma, successivamente, lavorando il segno.

La mostra che ti gratifica maggiormente? Anche più di una.

Una delle mostre che mi ha emozionato tantissimo è stata alle isole Barbados dove un mio ex alunno ha voluto festeggiare un evento particolare nel suo hotel con una mia personale e ha esposto 24 opere della serie cocktail. Quella sera ero a dieci metri dall’oceano, ospitato nella suite con la piscina e l’idromassaggio, fu un inaugurazione pazzesca con più di 300 persone, tanto champagne e cocktail a non finire. E stata una mostra bellissima dove mi sono sentito onorato, c’erano giornalisti, riviste, televisione, non sapevo più dove girarmi a guardare.

Una mostra molto importante per me la tenni in un paese non lontano dal lago di costanza al confine tra la Germania, l’Austria e la Svizzera, il paese dove è nata mia moglie, in un galleria comunale. Lì sono stato accolto da re. In quel periodo, essendo anche giornalista iscritto all’albo, curavo una rubrica di enogastronomia sul giornale Il Centro e altre riviste, davo anche ricette di cocktail, quel periodo uscì un nuovo spumante metodo classico della Cinzano e la casa madre ha voluto omaggiarmi portandomi due bottiglioni di questo spumante proprio in galleria un’ora prima dell inaugurazione. Devo dire che è stata un’esperienza meravigliosa.

La mostra a Rochester è un’altra tra le più importanti dove nasce la storia della serie cocktail e racconta di come è nato questo nome, sono stato ben accolto in una struttura italo-americana ricreativa gestita da ragazzi di quarta generazione.

La sera dell’inaugurazione hanno organizzato anche una cena abbinata alla mia mostra, i tavoli da 9 con tovagliolo verde bianco e rosso.

Un’altra bellissima esperienza che porto nel cuore è quando mi hanno omaggiato della prima monografia della fondazione Pescara Abruzzo pagando tutto loro dal libro, al fotografo, la televisione. C’erano anche molte personalità del campo politico e religioso.

Abbiamo tenuto la conferenza e poi il taglio del nastro,la famosa cantina Rosarubra che possiede terreni a Pietranico, la mia terra, ha offerto il buffet tipico del paese esempio peperoni e uova, i fritti, ed è riuscita davvero una grande festa.

Come e quando è nato il tuo progetto di fondare il centro culturale “SpazioeArte?”

1989. Nasce a Pescara vicino al liceo artistico, l’ho fondato lì perché desideravo cercare di inserire, far partecipare, dare possibilità ai giovani di esporre. Questo era il mio intento. Ho tenuto il centro attivo per circa un anno ma le spese del locale a Pescara erano alte e dopo varie mostre purtroppo ho dovuto chiudere il locale. “SpazioeArte” esiste ancora ed è ancora registrato ma l’ho spostato nel mio studio. Non sono riuscito a portare avanti il progetto nel mio studio ma ogni volta che mi trovo a parlare o avere a che fare con qualche giovane sono sempre disponibile. Avrei voluto creare una sede a recupero spese per tutti i giovani emergenti per esporli almeno 20 giorni al mese, purtroppo non sono riuscito pienamente nel progetto ma continuo comunque a sostenerli.

In quale modo ti impegni per sostenere le tue origini?

La mia carriera artistica si è espansa in tutta Italia e all’estero, sono stato invitato a molti premi importanti, come ad esempio il premio Sulmona in Abruzzo nato del 1980 circa. Ho avuto il piacere di conoscere personalmente il fondare Gaetano Pallozzi. Molti critici importanti hanno partecipato a questo evento come Tromadori, Vitiello, Le Pera, Giorgio di Genova, Massimo Pasqualone e Sgarbi che è molto affezionato a questo evento. Sono stato invitato la prima volta nel 1984, successivamente nel 2019 e quest’anno mi hanno invitato nuovamente ma preferisco solo partecipare all’evento per dare spazio ad altre figure artistiche senza essere premiato o giudicato, voglio solo emozionare il pubblico, non per presunzione ma per una mia personale decisione.

Ci sono progetti che non sei riuscito mai a realizzare? Sogni, utopie?

Li sto realizzando. Miro ad esporre in luoghi importanti, sale istituzionali.

Vorrei concedere i miei quadri ai musei. L’ultima opera che ho donato è stata per il museo diocesano di Monreale in provincia di Palermo, scelta dal critico d’arte Paolo Levi e ne sono onorato.

Sono stato ultimamente a Borbona, in provincia di Rieti, perché una mia amica, una presentatrice di Pesaro, Francesca Guidi, mi ha telefonato dicendomi di recarmi a Borbona per ritirare un premio, si chiamava premio Borbonità. C’era una scalinata bellissima simile a quella di Piazza di Spagna a Roma e le modelle sfilavano lungo questa scalinata, ad ogni pausa c’era la premiazione di un personaggio. Portai un quadro per il comune che venne poi esposto ed è ancora lì.

Una parte dei miei quadri qui nello studio li donerò invece al mio comune di Pietranico che progetterà una pinanoteca, ne ho già donati 10, ogni anno ne porto uno.

Ecco questo è il mio sogno, desidero dare il più possibile all’arte ed essere ricordato per sempre.

Gino Berardi dall’espressionismo all’astrattismo: l’intervista ultima modifica: 2021-10-07T11:35:22+00:00 da Redazione
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Tags: Montesilvano

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