Aprile, 2019

E' un evento che si ripete

05apr10:0018:00A Pescomaggiore la mostra fotografica Immota Manet 10 anni di terremoto nell'Aquila

immota manet

Quando

(Venerdì) 10:00 - 18:00

Dove

Pescomaggiore

Pescomaggiore 67100 AQ

Informazioni sull'evento

Dal 5 al 7 aprile 2019 a Pescomaggiore, in provincia de L'Aquila, presso l'Ecovillaggio Autocostruito E.V.A, si terrà Immota Manet, 10 anni di terremoto nell'Aquila, la mostra fotografica di Mario Fracasso,

A dieci anni dal sisma che il 6 Aprile 2009 ha scosso la città dell'Aquila e tutto l’ampio territorio circostante, la ricostruzione non c'è stata. E dire che è stata avviata è senza dubbio un eufemismo.

Il sisma è una ferita profonda che ancora non si rimargina e a cui è stata applicata solo una medicazione superficiale.

Tamponata la lacerazione, per non vedere il sangue fuoriuscire, l’infezione è rimasta. Così la cancrena si è espansa e oggi la realtà è che gli aquilani più che vivere, esistono: immobili in un tempo senza prospettiva futura.

Nel capoluogo abruzzese le macerie sono state rimosse, ma abitarci è impossibile. Solo il corso e la piazza principali sono stati restituiti agli aquilani, insieme ad alcune chiese e alcuni edifici, per lo più in periferia. Nella così detta zona rossa, praticamente l'intero centro cittadino, qualche bar e negozio tenta di sfruttare gli ultimi fondi per poter restare aperto. Attorno tutto è disabitato.

Un luogo che al primo imbrunire diventa spettrale. Gli aquilani sono costretti a fruirne facendo lo slalom tra transenne, puntellamenti, blocchi di cemento, gru, cantieri ed edifici pericolanti. Tanto che ormai tutto è entrato nella normalità del paesaggio urbano. La sensazione è quella di un museo dell'abbandono: chi non è abituato al nuovo paesaggio, non può far altro che tendere lo sguardo verso l'altro con espressione che varia dalla sconsolatezza all'incredulità.

Fuori dal centro, invece, tutto è cambiato. La logica del dare una casa “subito a tutti” ha pagato in campagna elettorale ma ha distrutto il tessuto sociale. Gli abitanti del centro, così come quelli dei numerosi comuni periferici, sono stati sparsi in nuovi quartieri costituiti dai C.A.S.E. (Complessi antisismici sostenibili ecocompatibili), fatti di grandi edifici di architettura popolare, e dai M.A.P. (Moduli abitativi provvisori), bassi prefabbricati a schiera. Questi agglomerati urbani, secondo la Corte dei Conti, si sono rilevati immotivatamente costosi ed hanno alloggiato troppe poche persone oltre a non aver rispettato le specifiche disposizioni del regolamento del Fondo di solidarietà dell’Unione Europea “perché sono stati costruiti edifici permanenti invece di case provvisorie”. Inoltre, dalle indagini della magistratura, sembra evidente che 5000 dei 7000 isolatori antisismici non siano mai stati omologati.

Al netto di tutto ciò, agli aquilani restano dei quartieri anonimi, dove i luoghi di aggregazione sociale (a parte casi illuminati come quello di Onna) sono inesistenti, i bar, gli alimentari e le farmacie spesso sono troppo lontani e i mezzi di trasporto carenti. Luoghi dove, a detta di tutti, finita la giornata lavorativa semplicemente si torna a dormire. Dove il tempo della provvisorietà dei C.A.S.E. e dei M.A.P. sembra immobile, mentre quello delle persone continua inesorabile tra solitudine e rassegnazione. Dove i molti anziani residenti continuano a morire senza essere potuti rientrare nella casa di una vita e gli unici manifesti pubblicitari che si vedono in giro sono quelli delle onoranze funebri.

Tutto ciò rende queste “New Town” delle vere e proprie periferie da megalopoli: alloggi tutti identici, annidanti in grandi blocchi, posti su palafitte di cemento che creano grandi parcheggi seminterrati dove sono abbandonate macchine, lavatrici e televisori, più che parcheggiate le vetture di proprietà dei condomini. Tra questi palazzoni vi sono strade inutilmente ampie e parchi gioco senza bambini. Tutto è predisposto come per accogliere una moltitudine di abitanti che, però, non vi risiede più. In questi quartieri gli aquilani sono stati centrifugati senza logica territoriale, spesso con assegnazione degli appartamenti fatta a sorteggio, creando disagi e liti tra cittadini e cancellando relazioni di vicinato e abitudini di quartiere.

Alcuni di questi complessi sono anche completamente abbandonati. Esemplari sono i nuovi quartieri di Cese di Preturo e Sassa. Qui sembra che gli edifici, invece di essere stati costruiti per dare alloggio ai terremotati, siano stati essi stessi colpiti dal sisma. Stando alle cronache già dopo quattro anni dall'erezione, i balconi sono crollati e gli edifici hanno avuto bisogno anche loro di puntellamenti e transenne per non crollare…almeno per il momento.

In questi dieci anni la ricostruzione è stata fatta di scelte opportunistiche, senza una visione strategica e con una logica di profitto immediato. Tanto che, ironia della sorte, il settore edilizio è in piena crisi: la maggior parte degli operai aquilani è senza lavoro perché le poche aziende che hanno monopolizzato la direzione dei cantieri avviati hanno, per lo più, subappaltato i lavori a imprese non aquilane. Diverse ditte che avevano vinto il maxi appalto per la costruzione delle piastre antisismiche su cui poggiano gli edifici dei C.A.S.E., inoltre, sono fallite subito o dopo pochi anni. Acclarati sono i casi della Cosbau spa, della Orceana Costruzioni Spa, della Pfs Costruzioni Srl, Iter Gestione e Appalti Spa, Sled Spa e Vitale Costruzioni Spa. Sul territorio a lasciare il segno tangibile di una gestione discutibile della ricostruzione è stata l’azienda aquilana Edimo-Taddei. Grazie ai fondi per il sisma ha ampliato il suo fatturato e ingrandito notevolmente i suoi stabilimenti, fino a quando, improvvisamente, nel 2015 ha dichiarato fallimento, licenziando centinaia di persone.

Se il terremoto ha distrutto fisicamente gli edifici, le scelte politiche e amministrative di questi dieci anni hanno rallentato la ricostruzione e demolito il tessuto sociale. Così una delle città più ricche di storia e bellezze artistiche è stata abbandonata a se stessa, e il suo motto, Immota manet, oggi pare più che mai pregno di significati.

Le parole dell'autore

Mario Fracasso: “A dieci anni dal sisma che il 6 Aprile 2009 ha scosso la città dell'Aquila e tutto l’ampio territorio circostante, la ricostruzione non c'è stata. E dire che è stata avviata è senza dubbio un eufemismo.

Il sisma è una ferita profonda che ancora non si rimargina e a cui è stata applicata solo una medicazione superficiale. Tamponata la lacerazione, per non vedere il sangue fuoriuscire, l’infezione è rimasta. Così la cancrena si è espansa e oggi la realtà è che gli aquilani più che vivere, esistono: immobili in un tempo senza prospettiva futura.

Nel capoluogo abruzzese le macerie sono state rimosse, ma abitarci è impossibile. Solo il corso e la piazza principali sono stati restituiti agli aquilani, insieme ad alcune chiese e alcuni edifici, per lo più in periferia. Nella così detta zona rossa, praticamente l'intero centro cittadino, qualche bar e negozio tenta di sfruttare gli ultimi fondi per poter restare aperto. Attorno tutto è disabitato. Un luogo che al primo imbrunire diventa spettrale. Gli aquilani sono costretti a fruirne facendo lo slalom tra transenne, puntellamenti, blocchi di cemento, gru, cantieri ed edifici pericolanti. Tanto che ormai tutto è entrato nella normalità del paesaggio urbano. La sensazione è quella di un museo dell'abbandono: chi non è abituato al nuovo paesaggio, non può far altro che tendere lo sguardo verso l'altro con espressione che varia dalla sconsolatezza all'incredulità. “