L’AQUILA – Dopo le euforiche (si fa per dire) esternazioni iniziali che quantificavano in cinque anni la durata dell’esecuzione delle opere di ricostruzione, la situazione attuale ci sbatte in faccia una realtà ben diversa, e la tabella di marcia dei lavori ha preso tutt’altra piega. Le frazioni del comune aquilano, in questo caso Roio, sono lì oggettivamente a dimostrarlo. Nei centri storici dei quattro paesi (cinque considerando che Poggio ne ha due), sono circa 17 i cantieri attualmente aperti. Un pò pochi se si considera che sono 274 le unità immobiliari interessate alla ricostruzione, e che più del 70% dei progetti non vengono ancora istruiti. Solo qualche raro colore acceso (per intenderci quelli usati per tinteggiare la case ristrutturate) e qualche sporadica gru s’infrangono in quel grigiume che sintetizza ciò che resta degli antichi abitati, ancora completamente spenti e cadenti. Case rovinate, ruderi, vegetazione, viottoli sconnessi e qualche strada principale rattoppata alla meno peggio, giusto per permettere il transito di qualche vettura. Sono lì e aspettano, insieme a chi ci abitava, che la complessa macc
hina della ricostruzione restituisca un po’di colori a tutto ciò che quella notte di aprile aveva cancellato.
In questo malandato contesto urbano, ci sono solo due fabbricati storici vincolati dai beni culturali, ambedue hanno riportato danni alle strutture: uno a Roio Piano (Ju Palazzu) e l’altro al Poggio. Solo quest’ultimo (villa Palitti per intenderci) è in corso di ristrutturazione. Tra fine 2016 e inizio 2017, dovrebbero partire i primi cantieri dei consorzi più consistenti. E tra questi ci auguriamo siano compresi “anche” quelli con il maggior numero di prime abitazioni. Una nota, tuttavia, merita una riflessione. Il comprensorio, in cui ricade la II Circoscrizione, sin dai tempi della sua inclusione nel comune di “Aquila”, non è riuscito a diventare quell’ambita periferia cittadina che gli avrebbe concesso prerogative tali da poterla considerare il fiore all’occhiello della città. E il terremoto del 2009 non ha fatto altro che allontanare quella “pia illusione”.
Un progetto, questo, in verità poco accarezzato dalla classe dirigente aquilana che si è succeduta negli anni, la quale non ha mai mostrato particolari attenzioni verso questa valle. Dunque è inevitabile non prendere atto che la tutela del sistema paesaggistico locale è stata del tutto ignorata. Tale considerazione evidenzia la sconfitta che ha subito l’urbanistica nel ridefinire questo tratto di territorio montano. L’occasione, ahimè, palesatasi in conseguenza a questo triste evento, avrebbe dovuto fare di una metodica pianificazione urbana uno dei punti di forza dell’altopiano. Un’opportunità e persa, dunque? Il tempo sarà arbitro imparziale nel giudicare ciò che si è costruito e ciò che si sta tentando di ricostruire oggi. Non è errato sostenere che l’avvenire di Roio passa, oltre che dalla ricostruzione, ovviamente, anche attraverso la realizzazione di infrastrutture che possono promuovere turismo, socialità e cultura. Tali prerogative, se non altro, contribuirebbero a creare posti di lavoro, obiettivo questo che non bisogna mai perdere di vista per evitare la desertificazione giovanile dell’area in oggetto. Ma, la lungimiranza, si sa, è una sorta di bussola di cui non sempre si tiene conto, e l’evoluzione programmatica degli ultimi tempi ci costringe a raccontare un’altra storia.
Una storia che parla anche di anziani. I quali sono tra coloro che hanno subito più di tutti i traumi di quel tragico evento. Questi saggi “Aquilani di campagna” rientrano nel novero di coloro ai quali è stata data un’accettabile “sistemazione provvisoria” ma gli è stato strappato il paese e con esso reciso il contesto relazionale nel quale hanno vissuto. Sono passati sette lunghi anni da quel giorno. Troppi per i ragazzi che non sono cresciuti nei vicoli e nelle aie di quei paesi. Che non hanno respirato il senso di libertà e di giovialità che quell’ambiente emanava. Ma quegli anni sono ancora di più per quella generazione della terza età che rischia di non vedere ricostruito il suo mondo. E in questo caso sarebbe un’imperdonabile sconfitta per tutti. E’, dunque, necessario tornare alla normalità nel più breve tempo possibile. E’ bene che ognuno si assuma le proprie responsabilità in base ai delicati compiti che la legislazione in materia gli ha assegnato e, visto che i soldi in cassa ci sono, si diano inizio ai lavori prima che si ricostruiscano paesi che poi rischierebbero di rimanere vuoti!
(a cura di Fulgenzio Ciccozzi)