Attualità

Primo Maggio – Festa dei lavoratori e le Virtù teramane

Condividi

Il primo maggio è la festa del lavoro la giornata che celebra, in Italia e nel mondo, le lotte che, durante i secoli, i lavoratori hanno combattuto per poter veder riconosciuti i propri diritti.

L’origine della festa del lavoro risale a una manifestazione organizzata negli Stati Uniti  dai Cavalieri del lavoro: Knights of Labor, associazione fondata nel 1869 a New York il 5 settembre 1882. Due anni dopo, nel 1884, si decise che ogni anno i lavoratori avrebbero manifestato per i propri diritti. In molti Paesi d’Europa la festività del primo maggio fu adottata nel 1889, in Italia due anni dopo. Nel nostro Paese, però, questa festività , in epoca fascista tra il 1924 e il 1944 venne ostacolata in alcuni anni, in altri anticipata al 21 aprile e, spesso, venne  repressa  duramente dal Governo fascista.

Nel 1947 questa importante ricorrenza finì in un bagno di sangue a Portella della Ginestra (in provincia di Palermo), quando il bandito Salvatore Giuliano e la sua banda spararono su un corteo di circa duemila lavoratori in festa sui prati, uccidendone undici e ferendone una cinquantina. Il primo maggio va dunque ricordato e commemorato per non dimenticare tutte quelle persone che  hanno combattuto per difendere il proprio diritto al lavoro e ottenere condizioni dignitose ed umane per tutti.

Le Virtù teramane: antichissima tradizione culinaria di Teramo

Da tempo immemorabile, a Teramo il primo maggio è sinonimo delle “Virtù” ed i vari eventi della storia, più o meno drammatici, non hanno scalfito l’essenza tradizionale e culturale di questa antica tradizione. La ricetta delle “Virtù” ha la sua data di origine intorno al 1800; la preparazione di questo piatto veniva collocata il primo Maggio, poiché oltre ad indicare la fine del periodo freddo, aveva valore benaugurale per i raccolti estivi. Si tratta di un piatto rituale con funzione propiziatoria. In questa occasione venivano preparate un gran numero di pignatte contenenti le “ Virtù” e poi distribuite alle famiglie più povere , in segno di solidarietà della comunità con i meno fortunati.

Sono virtù perché la base di partenza sono gli avanzi rimasti nella dispensa dopo l´inverno: legumi secchi, pasta di varie tipologie, resti del maiale che la donna doveva essere brava a recuperare riutilizzare e unire alle primizie che la nuova stagione aveva cominciato a produrre negli orti. Una leggenda narra che le Virtù  dovessero contenere sette tipi di legumi, sette tipi di pasta, sette tipi di erbe, che il tutto dovesse essere cucinato da sette vergini per ben sette ore, sette proprio come le virtù cristiane.

LA STORIA

Tra le celebrazioni per il ritorno della primavera in Abruzzo un po’ dovunque vi era l’uso della cosiddetta “pignatta di Maggio” un minestrone risultante dalla fusione appunto di sette legumi e primizie dell’orto distribuito ai poveri e gettato anche nei campi a scopo propiziatorio. A seconda delle località esso riceve nomi diversi. In provincia di Teramo si chiama “le virtù”, nell’aquilano “totemàije” nei paesi intorno ad Atessa “lessame”, nella valle del Sangro “pignata di Maggio” o “costa” di Maggio. Costa significa ripida salita stretto passaggio perché nell’ottica del contadino di un tempo maggio, pur facente già parte della primavera, era un mese di transizione tra le provviste ormai esaurite dell’anno precedente e il nuovo raccolto che ormai si annuncia nei campi ma potrebbe anche andare male. É anche il mese di maggiore fatica in campagna , il mese in cui più che in altri s’invocano le piogge ( l’acqua di maggio) particolarmente benefiche per il raccolto che va maturando.

Attorno alla nascita di questo piatto ci sono diverse leggende,  la più accreditata lo vuole nato intorno al 1800. Alla fine di aprile, completate le pulizie della casa e trascorsa la Pasqua, nelle famiglie contadine bisognava svuotare “l’arca da pane” : la madia dei rimasugli delle provviste, ultime tracce dell’inverno, per far posto ai nuovi frutti del prossimo raccolto. E così, le donne, trovandosi costrette ad utilizzare mucchietti di legumi diversificati, paste scombinate e odori essiccati, pensarono bene di consumarli tutti in una volta; ma, educate al gusto ed al culto della buona tavola, li combinarono con le primizie fresche della primavera, legando il tutto con brodo di osso maiale che rimaneva nella dispensa. Una mistura di antico e di nuovo , un vero rito di transizione e di propiziazione , un piatto che veniva mangiato con religiosa consapevolezza della continuità del tempo e della Provvidenza.

La ricetta: una misticanza di antichi sapori e saperi

Una suggestiva leggenda narra che questo piatto fu preparato per la prima volta da sette giovani donne, belle e naturalmente “virtuose”, ciascuna delle quali buttò giù nella pentola un simbolo, una prova della propria abilità, mise un sapore, aggiunse un’erbetta, irrorò con una spezia. Secondo i dettami dell’antica cucina, ai fini di una perfetta realizzazione delle Virtù bisogna risalire ad un legame tra rituale alchemico e magia, secondo la formula dei numeri simbolici sette e tre, sempre ricorrenti. La ricetta prescrive, infatti sette verdure fresche di base (indivia, bietole, spinaci, cicoria, misericordia, borragine ,lattuga); sette primizie dell’orto (zucchine, piselli, favette carciofi, carote, scarola); sette odori freschi (aglio, cipollina, aneto o finocchietto, maggiorana, salvia, prezzemolo, e non deve assolutamente mancare l’erba poverina o pivirella, nota come “peperalle”) rigorosamente provenienti dagli orti di” Cazzitt” o di “Tabbusse” all’Acquaviva ; tre spezie (pepe, noce moscata, chiodi di garofano); sette legumi secchi (fagioli borlotti, fagioli cannellini, fagioli bianchi, ceci, lenticchie, fave, cicerchia o farro); sette tipi di pasta secca; sette tipi di pasta fresca; tre qualità di carne di maiale (cotiche, prosciutto, piedini).

Si mette a cuocere in acqua, separatamente ciascun ortaggio, ciascuna verdura e ciascuno dei legumi. Ancora a parte si prepara il brodo con le carni del maiale tagliate a pezzetti. Quando tutto è pronto, si assembla e si mescola aggiungendo via via il brodo del maiale; aglio e cipolla tritati finemente, chiodi di garofano, noce moscata, finocchietto, pepe; si aggiunge man mano la pasta cotta. Si serve dopo circa un’ora, poiché il composto dovrà risultare non acquoso né troppo compatto, fermo restando che saranno l’esperienza, le capacità e il colpo d’occhio di chi cucina a sorvegliare sulla consistenza. Alle Virtù, già scodellate vanno aggiunti nel piatto carciofi indorati e fritti e zucchine indorate e fritte e pallottine di carne preparate a parte.

Una pietanza tipica del cuore di Teramo

Ma c’è un elemento che non può essere dimenticato: le Virtù rappresentano un uso e una tradizione gastronomica nati nel cuore della città vecchia, “dentro le mura”. Questa esclusività era rivendicata e strenuamente difesa dalle cuoche cittadine, contro chi, “fuori le mura” osava cimentarsi con il rito culinario del primo maggio. É questo, forse, l’aspetto meno noto, che però dà vigore e sostanza alla tradizione: è l’emozione, l’atteggiamento psicologico di chi aderisce ad una comunità col cuore, con la mente, con il lavoro, con la vita e di essa si sente parte identificandosi con i luoghi, con il cibo.

Ricostruzione storiografica di Elisabetta Mancinelli

Primo Maggio – Festa dei lavoratori e le Virtù teramane ultima modifica: 2018-05-01T02:19:02+00:00 da Redazione
Pubblicato da
Redazione

L'Opinionista © 2008 - 2024 - Abruzzonews supplemento a L'Opinionista Giornale Online
reg. tribunale Pescara n.08/2008 - iscrizione al ROC n°17982 - P.iva 01873660680
Informazione Abruzzo: chi siamo, contatta la Redazione, pubblicità, archivio notizie, privacy e policy cookie
SOCIAL: Facebook - Twitter