L’AQUILA – Qualche giorno fa, camminando per le strade dell’Aquila, ho visto delle bandiere accartocciate su delle aste che spuntavano dalla facciata di un antico palazzo. I tre drappi avevano il colore rosso-blu, il tricolore e il blu puntellato di stelle. Ognuna di esse ha per noi un significato molto profondo. Raccontano una storia, la nostra storia.
Oggi si parla molto di Europa, ma per capirne bene il concetto è bene conoscere le sue vicende che, in un certo senso, iniziarono nella tarda Repubblica Romana quando Cesare si affacciò sulle sponde della Britannia dopo aver annesso i territori occupati dalle popolazioni Celtiche e Germaniche. Con la caduta dell’Impero Romano, fu il franco Carlo Magno, con l’imprimatur del Pontefice, a dare un senso a quell’Europa già divisa dalle popolazioni barbariche che avevano creato le basi dell’odierna frammentazione politica, economica e sociale.
La notte dell’Ottocento, dunque, nacque a Roma il Sacro Romano Impero che dopo alterne vicende si protrasse sino agli albori del Cinquecento. Ci provò a riunificarla secoli dopo Napoleone, il quale al grido di liberté, égalité et fraternité mise a ferro e fuoco il vecchio continente. E, come scrisse il Manzoni, nella poesia “Il 5 maggio”, “né sa quando una simile orma di piè mortale la sua cruenta polvere a calpestar verrà”.
Purtroppo ci pensò Hitler a calpestar quella cruenta polvere. Un pulviscolo che venne scosso dal “passo dell’oca” e che stava prendendo le sembianze del Terzo Reich. Tutti sappiamo come andò a finire! Sempre a Roma, in conseguenza a quel disgraziato conflitto e sotto il vento che spirava da più di un decennio da Ventotene, che il 25 marzo del 1957 fu firmato il trattato che istituì la Comunità Economica Europea con il quale ebbe inizio il processo di integrazione (tanto agognato dal Mazzini) attraverso la condivisione della sovranità nazionale. La storia europea, anche se in maniera diversa, si ripete e ha visto la “Perfida Albione” partecipare sempre con ritrosia al progetto di unificazione.
Quello nato a Roma nel ‘57, di per sé genuino e lungimirante, ha portato pace, stabilità e crescita economica. Ad esso hanno aderito un numero sempre maggiore di Nazioni. Ma la violenza, che nei secoli ha vergato la storia di questa terra, oggi ha assunto un altro volto. Un volto che sembra mostrare armi meno affilate ma senz’altro più subdole: la finanza che specula e crea disuguaglianze sociali, l’asfissiante burocrazia, l’egoismo degli Stati, la mancanza di una risposta univoca nell’affrontare il problema dell’emigrazione.
E’ in questo continuo flusso migratorio che la solidarietà, il dialogo e il rispetto delle regole, senza le quali avanzerà il processo che porterà al deterioramento della società occidentale, devono assurgere a punti di riferimento ineludibili. Nel contempo, senza perdersi in inutili chiacchiere, è necessario trovare soluzioni che pongano un argine a questo fenomeno attraverso la sicurezza, lo sviluppo e il benessere sociale dei Paesi di provenienza dei profughi. Insomma una sorta di pax Augustea e un Piano Marshall allargati ai Paesi più disagiati di questo mondo.
Ci sarà in futuro un’Europa solo se la stessa sarà davvero capace di affrontare le sfide che questo irruento mondo globalizzando sta ponendo. Un’Europa che sappia mettere al centro dei suoi progetti la difesa dei valori del vivere civile, tenendo fuori, con mano ferma e senza fraintendimenti, ogni genere di integralismo: finanziario, nazionale, religioso e politico. Questo punto di equilibrio, che è base fondante della democrazia, non può essere raggiunto senza tener conto della volontà del popolo, che non è una mucca da mungere, beninteso, ma l’elemento principale dell’essere e del non essere di un’Europa che vorremmo!
(A cura di Fulgenzio Ciccozzi)